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Il volto di Andrea Scanzi è ormai diventato familiare un po’ per tutti. Iperattivo, impegnato in mille campi, dal giornalismo al teatro, dallo sport all’enogastronomia (come riportato da Wikipedia è sommelier e degustatore ufficiale Ais, oltre che assaggiatore di formaggi Onaf), dalla musica al web. “Non è tempo per noi” (Rizzoli editore), già arrivato alla terza ristampa dopo poche settimane dall’uscita, è la sua ultima fatica letteraria. Un libro da leggere tutto d’un fiato, un grande affresco della sua generazione, quella dei quarantenni, quella nata nei tumultuosi e complessi anni Settanta.
ANDREA SCANZI E I QUARANTENNI IN PANCHINA
Nato ad Arezzo nel 1974, alle soglie dei fatidici “Quaranta”, si è cimentato in una analisi dettagliata, impietosa e decisamente pungente – come nel suo stile – della propria generazione. Una vera e propria autocoscienza collettiva. La generazione dei nati negli anni Settanta, ovvero quei quarantenni che si apprestano, forse, a tentare di conquistare la guida dell’Italia, non tanto e non solo in campo politico, ma anche culturale.
“Forse” e “ma anche” sono, in effetti, le parole che meglio sembrano meglio descrivere la generazione dei quarantenni descritta da Andrea Scanzi. Un generazione votata al pareggio, nata e cresciuta in una realtà ovattata (“generazione del presepe”), fatta di ribelli anzitempo disinnescati.
Andrea Scanzi passa in rassegna una serie di personaggi emblematici della propria generazione, sia in campo culturale che politico, sia sportivo che televisivo.
In “Non è tempo per noi”, Andrea Scanzi passa con disinvoltura dalle imprese sportive di Marco Pantani a quelle “nervose” di Paolo Cané; dalle carriere politiche di Angelino Alfano e Matteo Orfini (nonché la rottamazione “moderata” e disinnescata di “Renzie Fonzie in Pieraccioni”) ai versi di Jovanotti; dai bestsellers di Fabio Volo alle performance televisive e cinematografiche di Ambra Angiolini.
Ne esce un quadro fortemente critico, a tratti ironico, dal quale emerge la fortissima empatia di Scanzi per gli argomenti trattati. Unica eccezione, il regista Paolo Sorrentino, emblema secondo Scanzi di ciò che la sua generazione avrebbe potuto e dovuto essere.
Lo scrittore e giornalista aretino trasporta anche nella sua nuova opera l’amore mai sopito per Giorgio Gaber. A più riprese riaffiorano, mai banali, citazioni dirette o indirette del Signor G., con particolare riferimento a “La mia generazione ha perso”, album pubblicato nel 2001, una delle composizioni più amare del padre del teatro-canzone, in cui spicca il meraviglioso brano “La razza in estinzione” (possiamo raccontarlo ai figli senza alcun rimorso, ma la mia generazione ha perso). “Non è tempo per noi”, titolo di una canzone di Ligabue assurge quasi a simbolo e contraltare alla composizione gaberiana, evidenziando il senso di disimpegno e di sostanziale auto-assoluzione del rocker di Correggio.
Se Gaber tuttavia poteva ammettere con tristezza che la sua generazione, dopo aver a lungo combattuto, avesse perso l’opportunità di cambiare davvero il Mondo, Andrea Scanzi deve ammettere con ancora maggiore amarezza che la sua generazione non solo non ha perso, ma non è mai neppure scesa in campo. Una generazione in panchina, che si è anche crogiolata della propria incompiutezza, quasi accettandola come alibi e giustificazione alla propria limitatezza, al proprio inconfessabile benché evidente desiderio di disimpegno. Andrea Scanzi non cede tuttavia al pessimismo, ma anzi propone in appendice al suo grande affresco generazionale un decalogo, “dieci buoni propositi per andare oltre il pareggio”. Il grande successo di “Non è tempo per noi” appare pienamente giustificato e pare già oggi destinato a rimanere una Polaroid fedelissima di una intera generazione.