Sab. Feb 15th, 2025

La politica deve saper guardare al futuro, altrimenti è un’altra cosa. La politica va fatta con testa e cuore, non con l’istinto. La politica dovrebbe essere l’arte di risolvere i problemi concreti delle persone.

Mi piace partire elencando alcuni punti fermi. Negli ultimi anni l’esigenza di mettere dei punti fermi è diventata sempre più indispensabile per il semplice fatto che di fermo nella politica, in particolare quella italiana, sembra non esserci davvero nulla.

Quello che sta per nascere è un governo-macedonia con dentro quasi tutti i partiti. Non è la prima volta nella storia d’Italia, ma molti di noi non ricorderanno più il precedente: era il 1993, governo Ciampi. Anche in quel caso fu chiamato alla guida del governo l’ex Governatore della Banca d’Italia (ruolo successivamente occupato dallo stesso Mario Draghi) Carlo Azeglio Ciampi.

Il governo Ciampi ottenne la fiducia con una maggioranza non assoluta (solo 309 deputati favorevoli) alla Camera e con maggioranza assoluta (162 senatori favorevoli con ruolo dunque decisivo dei senatori a vita) al Senato.

Quel governo era sostenuto con propri ministri da DC, PSI, PDS, PSDI, PLI e Verdi. Il PRI aveva un sottosegretario. PDS e Verdi ritirarono i propri ministri dopo appena un giorno dall’avvio del governo in segno di protesta contro il diniego all’autorizzazione a procedere richiesta dalla Procura di Milano nei confronti dell’allora leader socialista Bettino Craxi. In quel governo, oltre al Presidente del Consiglio, sedevano ben 10 ministri “tecnici”.

Le analogie tra governo Ciampi e futuribile governo Draghi sono dunque molteplici.

Occorre tuttavia dire che la maggioranza che sosteneva il governo Ciampi era sostanzialmente la stessa (allargata al PRI oltre all’appoggio esterno di PDS e Verdi) che aveva retto il precedente governo Amato I, esecutivo che tutti ricordano soprattutto per il prelievo forzoso del 6 per mille dai conti correnti degli italiani eseguito senza preavviso nella notte del 10 luglio 1992.

Il governo Draghi invece avrebbe una maggioranza estremamente diversa rispetto al precedente governo Conte II. Il governo Draghi, nel caso in cui il M5S decidesse di non sostenerlo, potrebbe infatti configurarsi come un esecutivo in cui Lega e Forza Italia, fino a ieri all’opposizione, diventerebbero i principali gruppi parlamentari di maggioranza. Ne nascerebbe dunque un governo “rossoverde” o meglio, visto che la Lega ha quasi il doppio dei senatori del PD, un governo “verderosso”.

Senza l’appoggio del Movimento 5 Stelle il governo Draghi avrebbe comunque una maggioranza estremamente ampia. Facciamo due conti, considerando i seggi del Senato:

Lega (63) – FI (52) – PD (35) – IV (17) – CD-MAIE (10) – LeU (7) – SVP (3) – PSI (1) – Azione (1) – CxE (1) – Misto (12) – Senatori a vita (3)

TOTALE DRAGHI: 205 (quorum 161)

M5S (92)

TOTALE “INDECISI”: 92

FDI (19) – Italexit (3) – Senatori a vita non iscritti (2)

TOTALE OPPOSIZIONE E ASTENUTI: 24

Anche dunque entrando in maggioranza il Movimento 5 Stelle non sarebbe determinante. Nessun gruppo parlamentare, neppure il più grande, avrebbe numeri decisivi per indirizzare l’attività del Governo. Nessun gruppo parlamentare dunque potrebbe imporre alcunché. Nessun gruppo parlamentare dunque potrebbe impedire ai “colleghi” di maggioranza di stravolgere le proprie proposte.

I sostenitori del “SI” a Draghi affermano che è meglio stare dentro al Governo per controllare e incidere.

Sulla seconda parte della frase sono molto scettico, sulla prima oggettivamente è vero. Tuttavia, mi domando, ha senso sostenere un Governo solo per controllarlo? Entrare in un Governo solo per evitare che gli altri componenti della maggioranza facciano porcate? Parafrasando l’esperienza del governo Andreotti III (1976) sarebbe il “governo della totale sfiducia”.

Mi sono sempre considerato un “costruttore”, se non altro perché è difficile sentirsi diversamente quando fai l’ingegnere civile. Ho appoggiato le scelte governiste di questi anni e anzi, vi dico una cosa da mosca bianca, mi rispecchio molto più nel Movimento attuale che in quello idealizzato delle origini. Forse perché al tempo delle “origini” io c’ero, a differenza di tanti che sono arrivati molto dopo (Paragone, De Falco, Carelli…) e si permettono di pontificare.

Sono tuttavia convinto che al Governo sia giusto starci quando si può incidere. In questo governo Draghi temo che, per ragioni numeriche e politiche, il Movimento non possa incidere più di tanto.

Voterò dunque NO.

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