(Articolo pubblicato su “L’Onestà”) La tempesta è passata e nessuno si è fatto male fisicamente. Partiamo da uno dei pochi lati davvero positivi della vicenda. L’altro dato positivo è certamente la reazione spontanea, fattiva e concreta di tanti cittadini di Sansepolcro e della Valtiberina che, nelle ore immediatamente successive alla calamità, hanno imbracciato seghe, scope e badili per andare a “fare ordine” e restituire alla propria città un po’ di sicurezza e decoro. Ciò che la tempesta ha lasciato sul terreno e nell’animo degli altotiberini è un profondo senso di smarrimento di fronte alla potenza di cambiamenti climatici ormai non più negabili, nemmeno alle nostre latitudini.
Occorre ricostruire e buona parte dei danni agli immobili, soprattutto ai tetti, sono già in fase di riparazione. Impossibile recuperare invece l’immenso danno al patrimonio naturale con circa 800 alberi caduti, si stima, nella sola Sansepolcro.
Poniamoci però soprattutto domande sul futuro. La cronaca degli ultimi anni in tutta Italia ci parla di eventi climatici classificati giornalisticamente come “eccezionali” che causano, ripetutamente, danni incalcolabili. Se tali eventi tuttavia si ripetono continuamente non è ragionevole parlare di casualità né di sfortuna, ma dobbiamo metterci in testa che c’è un clima che sta cambiando e che dobbiamo adeguarci, in modo da poter fare prevenzione e non dover continuamente contare danni e (cosa fortunatamente non avvenuta in questo caso) vittime.
Occorre potenziare e rendere molto più precisi gli strumenti di analisi climatica, in modo da poter meglio prepararsi. Nei giorni nella tempesta, per dire, le previsioni annunciavano neve come pericolo maggiore, segnalando inoltre possibilità di vento forte.
Molti alberi sono stati sradicati. Alcuni degli alberi caduti presentavano radici praticamente affioranti in superficie nonché spesso annegate nell’asfalto di qualche parcheggio. Tale tipo di piantumazione può resistere a un vento normale, ma non certo a un vento forte e durevole come quello del 5 marzo scorso. Sarà opportuno verificare la corretta piantumazione delle alberature superstiti, a partire da quelle potenzialmente pericolose per la pubblica incolumità.
Occorre, in sintesi, una nuova sensibilità ambientale. Per anni coloro che si sono battuti per la difesa della natura sono stati spesso additati come ostacoli al progresso, come noiosi conservatori nostalgici di un vecchio mondo antico ormai da rottamare. Gli stessi provvedimenti legislativi hanno fatto spesso leva su questa “ansia di progresso” fino alle pericolose derive del Piano Casa berlusconiano e del cosiddetto SbloccaItalia renziano.
Finché continueremo a permettere, anzi, a privilegiare la cementificazione selvaggia a una corretta e ragionevole urbanistica finalizzata al benessere collettivo continueremo a generare potenziali pericoli per l’incolumità pubblica.
Troppo spesso gli interessi politico-finanziari negli ultimi anni soprattutto hanno reso il nostro territorio sempre meno sicuro. Tombare fiumi, deviarne il corso per realizzare infrastrutture non sempre utili, riempire casse di espansione lungo i corsi d’acqua per aumentare superfici edificabili, devastare gli appennini per far passare in zone altamente sismiche gasdotti per approvvigionare di metano l’Inghilterra, bucare montagne contenenti antichi giacimenti di uranio per far passare treni ad alta velocità…sembrano scenari assurdi anche solo da immaginare, ma sono tutte scelte prese veramente, spesso nell’indifferenza generale e sovrastate dal clamore mediatico dato alle proteste (ovviamente sempre biasimate in maniera bipartisan) di chi si è opposto.
La tempesta che ha devastato mezza Toscana e che ha fatto danni enormi in particolare nelle nostre terre non deve essere dimenticata, ma deve farci capire che l’ambiente non può essere considerato un ostacolo, ma la nostra risorsa più preziosa. Solo comprendendo questo possiamo sperare in un futuro più sicuro e più giusto.