Vorrei condividere con voi una riflessione in merito alle ricorrenze celebrate in queste ultime settimane, in particolare la Giornata della Memoria (27 gennaio) e quella del Ricordo (10 febbraio). Sono per noi due ricorrenze importanti che commemorano due eventi drammatici del secolo scorso e che meritano di essere rispettate. Riteniamo che in queste occasioni così come per altre celebrazioni, a partire da quelle della Festa della Liberazione del 25 aprile, non possa esserci nulla di più stupido ed insensato delle polemiche di parte. Tacendo per pura carità di coloro che ancora avanzano teorie negazioniste sull’Olocausto o altri fatti storici inconfutabili, occorre osservare come ancora oggi, pur a distanza di decenni dagli avvenimenti ricordati, continuino ad agitarsi contrapposizioni violente.
Occorre però fare una precisazione importante: Storia e memoria non sono affatto la stessa cosa. La prima si basa su documenti accertati, la seconda su opinioni soggettive.
L’Italia negli ultimi due anni della Seconda Guerra Mondiale ha vissuto una vera guerra civile. Inutile nasconderlo. Mezza Italia era ancora sotto il dominio dei nazifascisti e l’altra mezza era sotto il controllo delle truppe alleate, supportate dalle formazioni partigiane italiane.
Non lontano dal nostro territorio passava la famigerata Linea Gotica e persino la nostra Sansepolcro è stata, per un periodo, territorio di frontiera tra le due Italie, nella drammatica estate del 1944 culminata con la vile distruzione della Torre di Berta da parte delle truppe nazifasciste italo-tedesche in ritirata.
Anche Sansepolcro ha vissuto l’onta delle Leggi Razziali fasciste, lasciando altresì alla Storia esempi di grande eroismo da parte di concittadini con Don Duilio Mengozzi e altri che seppero proteggere gli ebrei rifugiati presso il nostro territorio. Nel Sacrario degli Slavi del Cimitero di Sansepolcro riposano i poveri resti di 446 jugoslavi deportati nei campi di concentramento nazifascisti, tra cui quello di Renicci, dopo l’occupazione militare italiana nei territori dell’Istria, di parte della Slovenia e della Dalmazia. La dominazione dell’Italia fascista su quei territori fu particolarmente opprimente e ai loro abitanti fu vietato persino di continuare a parlare la propria lingua, dovendo accettare una italianizzazione forzata già nelle scuole e persino nella ridenominazione in italiano dei luoghi. Vengono i brividi pensando che cose analoghe siano avvenute anche nei nove anni di guerra in quel Donbass del quale da solo un anno è stata costretta ad interessarsi, con imperdonabile ritardo, l’intera Europa.
Intere generazioni di italiani nel Dopoguerra non hanno purtroppo studiato la storia del Novecento, ma hanno potuto giovarsi in larga parte delle memorie della propria famiglia. Mancano dunque a molti proprio quelle basi di conoscenza storica e su quelle incolpevoli carenze lucrano da sempre le propagande di alcuni partiti che sostituiscono al racconto storico quello di una memoria di parte.
Noi viviamo in un Paese che è stato a lungo diviso, in cui per un Ventennio ha imperato un regime dittatoriale che per un verso ha giovato a lungo di un certo consenso e per l’altro non è mai riuscito a imporsi come avrebbe voluto nell’animo degli italiani. Pare significativo ricordare che fu proprio la generazione più intensamente indottrinata nelle scuole fasciste, nell’Opera Nazionale Balilla e in altre strutture per la “educazione” dei giovani a guidare poi la Resistenza contro quello stesso regime fascista.
In una Italia comunque divisa e con due distinte “memorie” sono inevitabili i contrasti odierni. Occorre dunque, a nostro parere, lasciare da parte le ansie ideologiche e le spinte di parte. Parliamo di Storia. Osserviamo i dati incontrovertibili e sui quali non è concepibile, in quanto non suffragata da documenti, una visione diversa. E ricordiamo. Ma ricordiamo tutto, non solo quello che più ci fa comodo e non facciamo squallide e macabre “gare” su quali siano le tragedie più grandi.
Noi crediamo nell’Italia e nella sua Costituzione, che Piero Calamandrei definiva un “testamento di centomila morti” sacrificati per la sua conquista. Costituzione che afferma proprio quelle libertà che il precedente regime fascista aveva cancellato, a partire da quella di pensiero e di opinione.
Ricordiamo tutto e ricordiamolo bene, senza contrapposizioni. Quando si afferma che è giusto celebrare una ricorrenza a discapito di un’altra si compie una azione di profonda ipocrisia: sarebbe molto più onesto esprimere in piena libertà la propria tesi estremista senza trincerarsi dietro il paravento di una ricorrenza.
Le celebrazioni servono per ricordare, ma è nelle azioni quotidiane che si deve esplicare il vero ricordo, altrimenti anche in questo caso si cade nell’ipocrisia. Sempre Calamandrei ricordava ai giovani in un mirabile discorso sulla Costituzione nel 1955 che la Costituzione non è un semplice pezzo di carta, ma una macchina che per andare avanti ha bisogno di combustibili speciali: l’impegno, lo spirito e la volontà di mantenere le promesse di una società più equa e giusta contenute nei suoi articoli, che permangono tuttora, purtroppo, sostanzialmente inattuate.
Spesso ci lamentiamo dello scollamento crescente tra cittadini e istituzioni, certificato dal crescente astensionismo dalle urne. Non giustifichiamo dunque atteggiamenti puerili da parte di soggetti politici che lucrano consensi fugaci su certe contrapposizioni o che cercano ancora più banalmente solo un minimo di visibilità personale. Restituiamo alla Politica il proprio senso elevato di strumento virtuoso in grado di trasformare positivamente la società. Ricordiamo tutto e diamo compiuta attuazione alla nostra Costituzione.