I tempi dell’Europa, come al solito, sono lunghissimi, ma alcuni segnali potrebbero far ben sperare. La continua escalation verbale (e militare per conto terzi) degli Stati Uniti sembra stia finalmente incrinando le certezze granitiche di Germania e Francia. Persino Gramellini, voce molto ascoltata delle élite italiane, forse pentito delle frasi insolitamente violente contro l’ANPI di pochi giorni fa, afferma che questo potrebbe essere il momento buono per l’Unione europea di affrancarsi da quello che è stato per decenni un ombrello protettivo militare e non solo.
Una giovane Europa, coraggiosa, autonoma, capace di affrancarsi dalla protezione americana pur mantenendo ovviamente rapporti di alleanza. Rinnovo la convinzione che l’Unione, solo se riuscirà ad evolvere in un’autentica Federazione, con politiche comuni non solo sulla moneta ma su tutti gli aspetti determinanti (lavoro, scuola, salari, fisco, cultura, ambiente, salute, diritti) e ad avere una sua difesa comune, potrebbe diventare vero elemento di stabilità è garanzia di pace per il futuro. La grande preoccupazione, credo non solo mia, è che l’Europa sia il ritardo di moltissimi anni nel raggiungimento di quello che doveva essere uno degli obiettivi fondamentali già nella mente dei padri fondatori europei ai tempi del Trattato di Roma nel 1957. L’Europa è ora di fronte a un bivio: sostenere l’escalation della guerra e imbracciare definitivamente le armi al fianco degli americani contro la Russia (e la Cina?) oppure dare finalmente un senso a quel premio Nobel per la pace vinto nel 2012.