Jean-Luc Mélenchon è da 5 anni il principale esponente della sinistra francese. Sui giornali viene spesso scritto “sinistra radicale”, definizione che lascia un po’ il tempo che trova soprattutto se si considera che negli ultimi anni Mélenchon ha saputo far convergere su di sé la quasi totalità dei consensi di quello che fu il grande Partito Socialista di Mitterand. Per appena 420.000 voti Mélenchon ha mancato il clamoroso sorpasso su Marine Le Pen per conquistare il ballottaggio nelle elezioni presidenziali contro Emmanuel Macron. Decisiva, in senso negativo, è stata la frammentazione delle forze politiche di sinistra che hanno presentato, oltre a Mélenchon, altri 5 candidati. Inspiegabile la mancata alleanza, ad esempio, con gli ecologisti di Jadot o lo stesso Partito Socialista di Anna Hidalgo. Con tale alleanza Mélenchon non solo avrebbe agevolmente superato la Le Pen, ma avrebbe persino insidiato il primo posto del presidente uscente Macron.
Quando si parla di frammentazione della sinistra è difficile con fare un parallelo con l’Italia, dove il cosiddetto fronte progressista è atavicamente caratterizzato dal medesimo problema.
Il successo sfiorato da Mélenchon dovrebbe insegnare anche ai “nostri” che unirsi, federarsi, è l’unica mossa ragionevole per evitare di lasciare il paese in mano alle forze di destra para-lepeniste (Lega/Fratelli d’Italia) o a quelle di centro para-macroniane (Forza Italia/Italia Viva/Azione/ala renziana del PD).
La Federazione dei Progressisti, ne sono sempre più convinto, è la strada maestra da seguire.