Stasera, con le dimissioni di Luigi, si chiude una fase importante. Non è la fine come dice (spera?) qualcuno, ma il necessario passaggio verso un nuovo inizio. Si chiude la fase in cui il Movimento è stato guidato da un Capo politico solo ed isolato, una figura che ha riunito in sé, pur a dispetto degli appena 33 anni, tanti pesantissimi incarichi. Solo e isolato, non solo per scelta sua, ma anche perché in pochi – anche e soprattutto tra i più “noti” – si sono affannati per dargli fattivamente una mano.
Luigi ha sbagliato. Lo ha fatto tante volte. A volte, come oggi pomeriggio, ammettendolo e altre volte no. Ha svolto per due anni e mezzo il compito che negli otto anni precedenti era stato di Beppe Grillo, ovvero quello di parafulmine. Parafulmine contro gli attacchi esterni (e ci sta), ma soprattutto contro gente che vigliaccamente ha prima giovato delle scelte del Capo per poi rinnegarlo appena raggiunta un po’ di notorietà e la parvenza di un “potere”, sebbene più mediatico che effettivo.
Luigi ha accentrato molto le scelte? E’ vero. E questa è una colpa. Grave, soprattutto in un Movimento fondato sulla partecipazione. Tuttavia ho sentito ben poche lamentele fino al 4 marzo 2018. Stranamente fino ad allora sembrava che tutto andasse bene. Alcuni già erano critici allora, hanno continuato a criticare dopo e oggi vedono la possibilità di una rinascita: non sempre ho condiviso la loro visione, ma li rispetto. E non vedo l’ora di continuare a lavorare con loro con rinnovata energia.
Alcuni invece hanno iniziato a lamentarsi solo dopo. Alcuni se ne sono andati, anche dal gruppo parlamentare, lamentando eccessi di decisionismo: lo stesso decisionismo che li aveva portati ad essere candidati negli uninominali…ma allora, stranamente, andava bene. Tra loro c’è anche gente che non ha mai fatto nulla nei dieci anni di vita del Movimento, ma che ora vorrebbe ergersi a “vero interprete” dello spirito 5 Stelle. Gente come De Falco, Paragone o Fioramonti ci regala una grande lezione per il futuro: mai più candidati che non abbiano fatto un po’ di sana e formativa gavetta nei territori prima di candidarsi.
A Luigi, che oggi tanti salutano quasi come in una decisamente prematura commemorazione, va riconosciuto l’onore per quanto ha fatto e quanto ha tentato, anche sbagliando, di fare. Criticare è semplice, liberatorio, autoassolutorio. Il gesto con cui ha concluso il discorso oggi, quella cravatta tolta quasi in un moto di liberazione, ci lascia l’eredità più pesante ed impegnativa: da domani non c’è più il nostro Cap(r)o espiatorio, si torna finalmente a un Movimento a guida plurale e – anche se in ritardo di qualche anno – con un abbozzo di struttura organizzativa. Ora la responsabilità è di tutti noi…è finita la pacchia! Gli Stati Generali di marzo, il nostro primo “Congresso”, saranno il passaggio determinante per decidere insieme quale futuro costruirci. Facendo tesoro anche degli errori.