Ven. Gen 17th, 2025

(Articolo pubblicato su “L’Onestà”) “Me ne vado, qua è impossibile trovare lavoro” è una frase che purtroppo abbiamo già sentito dire da molti giovani e forse abbiamo dovuto pensare noi stessi. Che vi sia un problema occupazionale in Valtiberina, in particolare a Sansepolcro, è un dato di fatto – purtroppo– da tanti anni. Ancora da prima che si parlasse apertamente di “crisi”.

Si potrebbe reagire con fatalismo (tanto non cambia niente, meglio astenersi dalla lotta), con ingiustificato ottimismo (eh sì, ma col JobsAct cambierà tutto, ha ragione Matteo!!!1!) oppure trovare un nemico cui dare la colpa (spianiamo i campi rom con le ruspe così risolviamo tutto). Oppure potremmo accendere il cervello ed affrontare il problema seriamente.

Il dato di fatto è che da anni sia molti giovani che intere aziende lasciano il nostro territorio, pur a fronte di una innegabile naturale propensione al “genio” della terra tiberina. Giovani di Sansepolcro si distinguono oggi nei campi più disparati e portano il nome della nostra vallata in tutto il mondo. Analogamente molti nostri imprenditori lanciano brand importanti e vengono spesso chiamati a rappresentare ufficialmente intere categorie.

Questo sicuramente deve costituire motivo di orgoglio, ma al tempo stesso rende ancora più evidente e doloroso l’addio dei giovani e delle aziende alla terra che li ha visti nascere.

Per affrontare la questione in termini concreti basterebbe, magari, fare qualcosa di innovativo. Qualcosa che le amministrazioni attuali, troppo prese dal capire e propinare le “magnifiche sorti e progressive” imposte dai propri partiti, non hanno evidentemente mai fatto (o se lo hanno fatto hanno palesemente frainteso): capire perché giovani e aziende lasciano la vallata.

Basterebbe chiedere ai giovani perché decidono di andarsene. La risposta sarebbe, al solito, quella di cercare altrove quelle possibilità di realizzare le proprie legittime ambizioni che a Sansepolcro e dintorni sembrano irrealizzabili.

Basterebbe chiedere alle aziende perché decidono di andarsene. La risposta sarebbe, al solito, quella di cercare luoghi meno isolati del nostro dal punto di vista infrastrutturale, ma anche istituzioni più vicine anziché ostili al mondo imprenditoriale.

Una buona amministrazione comunale dovrebbe tutelare le peculiarità del territorio, incentivare attraverso la creazione di fondi ad hoc le attività imprenditoriali dei giovani, promuovere forme di impresa innovative.

Una buona amministrazione comunale dovrebbe avere il coraggio di non barricarsi dietro le solite frasi fatte sull’essere “vicini ai giovani” (frase che sentiamo da decenni e che mai si è tradotta in qualcosa di concreto), ma essere concretamente al passo con i tempi. Le infrastrutture richieste da anni dagli imprenditori locali non verranno realizzate ancora per molto tempo e il Comune può incidere fino ad un certo punto nel sollecitarne il completamento, ma può certamente incentivare – nell’attesa – altre forme di connessione. Può certamente incidere nella promozione di attività imprenditoriali particolarmente adatte ai giovani in cui a mettersi in “movimento” siano dati e servizi, prima ancora che merci. Una buona amministrazione comunale dovrebbe riuscire finalmente a dare concretezza al sempre sbandierato, ma mai veramente esplicitato rapporto tra scuola e lavoro (il che è bizzarro in un Comune da quasi dieci anni è guidato da sindaci ex insegnanti).

Serve il coraggio di passare dalle parole ai fatti, il coraggio di comprendere cosa significa davvero “fare impresa”, compito certamente molto arduo per chi ha fatto il “politico di professione” per tutta la vita. Serve il coraggio dunque, prima ancora, di cambiare amministrazione. Ma per quello ci sono le elezioni tra meno di un anno…

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