– di Paolo Biondani –
Interventi liberi nelle case. Con il rischio di danni e contenziosi. Il governo vuole il boom edilizio a tutti i costi. Ma ora persino architetti e costruttori lo bocciano
Nella migliore delle ipotesi è una presa in giro, nella peggiore è una catastrofe: l’ennesima deregulation edilizia varata d’urgenza dal governo tre giorni prima delle elezioni regionali è stata sommersa da un diluvio di critiche. Alle contestazioni degli ambientalisti (tutti), dei migliori urbanisti e dei più attenti politici dell’opposizione (pochi), si sono aggiunte le denunce, inattese e pesantissime, dei professionisti del mattone: per costruttori e immobiliaristi l’annunciata liberalizzazione rischia di rivelarsi “inutile come il piano casa”, mentre per architetti e tecnici è comunque “un pericolo per la sicurezza”. Sotto accusa c’è l’emendamento sull”attività edilizia libera’, che da venerdì 26 marzo consente di modificare le case degli italiani senza alcun permesso o verifica pubblica e senza neppure un progetto firmato dall’ultimo dei geometri.
In un Paese dove più di metà dei cittadini vive in zone a rischio di frane, alluvioni, terremoti o eruzioni, l’esigenza di regole e controlli è sentita da tutti, subito dopo i disastri. Poi, seppelliti i morti, si ricomincia a costruire. Senza regole. Anzi, a unificare gli ultimi trent’anni di legislazione edilizia è un’ideologia turbo-liberista che ha come bandiera proprio l’assenza di controlli, descritti come ostacoli allo sviluppo.
L’emendamento-scandalo, inserito a sorpresa nel decreto-incentivi e firmato personalmente dal premier Berlusconi con i ministri Tremonti, Scajola e Calderoli, è entrato in vigore il giorno stesso della pubblicazione. Sotto lo slogan della ‘semplificazione’, prevede, in generale, che “gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria possono essere eseguiti senza alcun titolo abilitativo”. Per i lavori interni alle abitazioni, ad esempio per abbattere una parete, il precedente testo unico del 2001 si accontentava della ‘Dichiarazione di inizio attività’ (Dia): si presentava un progetto, firmato da un tecnico responsabile e s’informava il Comune, che aveva pochi giorni per controllare e bloccare i fuorilegge. Di fatto, il caos delle competenze e il sovrapporsi di norme continuava a rendere ogni minimo intervento un’odissea senza confronti con alcun paese civile, almeno per gli italiani rispettosi delle regole. Di qui tante oneste richieste di uscire dalle trappole delle burocrazie edilizie, spesso corrotte. È da questo malessere reale che nasce la semplificazione targata ‘casa Silvio’.
D’ora in poi ‘l’interessato’ a rifare un’abitazione, secondo l’equivoca formulazione dell’emendamento, non ha più bisogno di niente: né di un progetto né di un tecnico che si assuma la responsabilità. Per gli interventi ‘straordinari’, basta mandare una ‘comunicazione’ al Comune, anche per e-mail, limitandosi a indicare l’impresa che si ‘intende’ utilizzare. E per le ‘opere di manutenzione ordinaria’ non serve neanche quella: si chiamano i muratori e basta, senza dire più niente a nessuno.
“È una leggina irresponsabile nel vero senso della parola”, denuncia Edoardo Zanchini di Legambiente: “Senza un progetto, non c’è più un responsabile tecnico. L’impresa edile è comunque svincolata, perché esegue gli ordini del proprietario. Il quale in teoria resta l’unico responsabile, ma normalmente non ha le competenze necessarie a stabilire, per esempio, se sta facendo abbattere una parete portante anziché un tramezzo. Mentre il Comune, senza la Dia, non sa più cosa succede e perde il potere d’intervento. L’abolizione di ogni regola crea gravissimi problemi di sicurezza soprattutto per chi vive in condomini a più piani: d’ora in poi ogni inquilino dovrà fidarsi non solo dell’onestà, ma anche delle capacità tecniche del vicino. L’unica certezza è un aumento delle liti, dei lavori in contrasto con le norme europee sul risparmio energetico e, in prospettiva, dei crolli e dei disastri impuniti”.
“Totale contrarietà a ogni insensata deregolamentazione edilizia”: anche il Consiglio nazionale degli architetti boccia con parole severe “una demagogica semplificazione amministrativa” che nasconde “un condono mascherato dell’abusivismo” e “induce gravissime conseguenze per la sicurezza del patrimonio edilizio”. Sempre secondo gli architetti, “l’assenza di ogni controllo di professionisti abilitati determinerà la proliferazione di interventi di scarsa qualità tecnica, senza alcuna garanzia per l’utente e la collettività, in totale dispregio delle tutele per i lavoratori”.
Zanchini misura così il salto berlusconiano dalla semplificazione al Far West: “Regioni come la Toscana autorizzano già ora perfino nuove costruzioni con la semplice Dia, ma in un quadro di regole precisissime e rigorose responsabilità tecniche. Con il decreto del governo, invece, la sicurezza è salva solo a parole. Nei fatti si chiama il proprietario ad autocertificare che non c’è pericolo. E lo si lascia libero di affidare i lavori anche alla ditta individuale ai margini della legalità, che magari subappalta in nero, o al muratore straniero con la partita Iva. E quando crollerà il palazzo, nessuna autorità saprà più dire chi debba risponderne”. Insomma, più macerie per tutti: il precedente piano di ‘semplificazione’, del resto, sospendeva perfino le norme anti-sismiche e fu ritirato solo dopo il terremoto in Abruzzo.
Dall’altra parte della barricata, costruttori e immobiliaristi sono insoddisfatti per motivi opposti. L’obiettivo proclamato dal governo è lo stesso del piano casa: battere la crisi stimolando un nuovo boom edilizio. Ma i primi a non crederci sono i potenziali beneficiari. Non potendo abolire le Regioni o i terremoti, infatti, il decreto legge ha dovuto riconfermare che restano valide, almeno sulla carta, “le disposizioni regionali e comunali più restrittive” e tutte le “norme antisismiche, antincendio e di sicurezza”. Se questo fosse vero (ma l’emendamento non è chiaro, per cui si annunciano interpretazioni elastiche, forzature e cause a valanga), l’obbligo di presentare un progetto tecnico controllabile dal Comune dovrebbe sparire solo in Sardegna e Friuli, dove le giunte di centrodestra avevano già abolito la Dia. Nelle altre 18 regioni, secondo ‘Il Sole 24 Ore’, l’applicazione è incerta o da escludere. Per cui, se davvero restano salve le regole più severe, la liberalizzazione si applica sicuramente solo dove è superflua e quindi inutile.
“Il decreto legge sulla deregolation in casa è destinato a finire nel nulla: la semplificazione è una storia già scritta, quella del piano casa”, è l’eloquente commento di Corrado Sforza Fogliani, presidente di Confedilizia, che già teme un bis del grande programma berlusconiano annunciato il 6 marzo 2009. Il piano casa prometteva di rilanciare l’Italia con due colate di cemento: subito, aumenti di cubatura per i privati già proprietari; in futuro, migliaia di nuovi alloggi popolari da costruire con soldi pubblici. Al primo appello hanno risposto in pochi, come ricorda Italia Nostra, “grazie ai limiti imposti da Regioni e Comuni che hanno rifiutato di svendere i centri storici per fare cassa”. Il piano casa è stato un flop perfino in Veneto, che con il governatore Giancarlo Galan aveva strappato a Liguria e Lombardia il record della cementificazione, con punte di oltre 50 milioni di metri cubi l’anno.
Per l’edilizia pubblica, il governo ha stanziato 377 milioni, che però attendono ancora i gestori dei fondi. Mentre la Corte Costituzionale, lo stesso 26 marzo, ha demolito quattro pilastri del piano belusconiano. Punto primo: cancellando un furbissimo ‘anche’, i giudici delle leggi hanno ristabilito che i soldi dello Stato si potranno spendere solo per dare alloggi ai poveri e ai bisognosi, e non ‘anche’ per progetti diversi. Secondo: le case popolari le faranno le Regioni. Terzo: basta “procedure d’emergenza” sul modello Bertolaso o appalti senza gara come per le “infrastrutture strategiche”. Quarto: è incostituzionale per la seconda volta (il governo ci aveva già provato nel 2005) imporre la svendita di alloggi Iacp calando dall’alto “convenzioni con società private” o strane “semplificazioni”.
Delusi dalle promesse, anche i piccoli e medi costruttori riuniti nell’Ance cominciano a sentirsi stretti fra due fuochi. In alto c’è una specie di cupola di big che bruciano miliardi con le grandi opere berlusconiane. E ora, con la deregulation, a scottare è anche la concorrenza dal basso delle micro-ditte pronte a tutto per spartirsi i lavori casalinghi. Mentre la Direzione nazionale antimafia, nell’ultimo dossier, denuncia che “l’edilizia resta in assoluto il settore più inquinato da imprese criminali”.
In Italia, secondo l’Agenzia del territorio, nel 2009 le vendite di immobili sono crollate dell’11,3 per cento. Mentre la Cgil-Fillea registra centomila disoccupati in più e “almeno 300 mila lavoratori in nero”. Con 27 morti nei cantieri solo tra primo gennaio e 19 marzo 2010: uno ogni tre giorni.
Gli economisti ricordano che la più grave recessione mondiale dal 1929 è stata causata da “un eccesso di credito all’edilizia”, che troppe banche hanno pensato di coprire con un’overdose di finanza creativa. Ma allora perché il governo ripropone di curare la crisi con iniezioni ‘omeopatiche’ di cemento? Vezio De Lucia, uno dei maestri dell’urbanistica italiana, risponde così: “È una posizione ideologica, non economica. C’è un pensiero unico neoliberista che in Italia è dominante da trent’anni. Anche a sinistra pochi ricordano che l’autunno caldo del 1969 era nato dalle grandi manifestazioni per la casa degli operai emigrati al Nord. Tra gli anni ’60 e ’70 ministri come Sullo, Bucalossi e Mancini ebbero il coraggio di limitare l’oscenità della speculazioni immobiliari con leggi che favorirono l’edilizia pubblica, sancirono la separazione tra proprietà fondiaria e licenza di costruire, vincolarono i parchi ancor prima dei piani regolatori. La controriforma urbanistica è iniziata negli anni ’80, con i primi accordi in deroga previsti della legge Signorile e con l’edilizia contrattata dai costruttori di Tangentopoli. Da allora anche nelle regioni rosse si è diffusa una generale sudditanza al neoliberismo della nuova destra: al buon governo del territorio, del verde e del paesaggio, alla cultura delle regole si sostituisce l’ideologia dell’assenza di controlli, del profitto privato come unico valore. E qualcuno si meraviglia ancora dell’ennesima deregulation berlusconiana? In Lombardia, in Veneto, in quasi tutto il Paese ha stravinto l’edilizia senza regole. In Italia l’urbanistica è morta“.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio//2124518
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